lunedì 19 aprile 2010

Prospettive sui Consigli, la gestione operaia, e la Sinistra tedesca (1974), di Pierre Guillaume

La costituzione della classe in Consigli dimostra che essa si organizza su obiettivi propri, ma non dice niente sulla natura di questi obiettivi, né sulle divisioni che possono esistere all'interno di questa classe. Tutti i problemi della rivoluzione tedesca ruotarono attorno a questo fatto, che determinò tutte le sue fluttuazioni. Man mano che la frazione più intelligente degli ufficiali comprendeva occorreva accordare la pace per salvare ciò che considerava l'essenziale, e a partire dal momento in cui la socialdemocrazia aderì alla pace, la maggior parte del movimento ricadde. Ma, fin dall'inizio, la rivoluzione tedesca fu più che un movimento per la pace: in effetti, se i primi Consigli furono Consigli di soldati, esisteva da diversi anni nelle fabbriche ciò che si chiamava l'organizzazione dei "fiduciari", cioè delegati operai, coordinati di fabbrica in fabbrica, che lottavano contro il supersfruttamento dovuto alla guerra, su posizioni assai più "classiste" ed economiche dei Consigli dei soldati. Il movimento dei Consigli dei soldati si coordinò, e apparve un'organizzazione di Consigli di operai e soldati in tutta la Germania, basata principalmente sui Consigli di fabbrica. D'altra parte, la pace creò in Germania una situazione economica assolutamente mostruosa, largamente aggravata dalla politica della Francia e delle altre potenze vittoriose. Oltre al problema della pace, la rivoluzione tedesca si articolò dunque su delle rivendicazioni proletarie che culminarono in scioperi e insurrezioni. Ogni volta si vide lo stesso meccanismo mettersi in azione. Quando il capitale si mostrava incapace di soddisfare delle rivendicazioni elementari, i rivoluzionari - gli elementi più radicali - erano portati alla testa del movimento, ma, dacché una parte di queste rivendicazioni erano soddisfatte, il movimento ricadeva. Malgrado la presenza di minoranze radicali un po' dappertutto, esso non fu mai capace di unificarsi in una prospettiva nazionale e internazionale, tanto più che la Germania era ancora mal unificata (l'unificazione del 1871 aveva lasciato sussistere le dinastie locali in Baviera, in Prussia eccetera, che furono rovesciate solo nel 1918). Si assistette a esplosioni e a sconfitte separate, regione per regione, provocate d'altronde dalla classe dominante, senza dubbio la più intelligente del mondo. I rivoluzionari analizzarono queste esperienze; e si può dire che conobbero tutte le forme possibili di controrivoluzione, il che costituisce la straordinaria ricchezza della Sinistra tedesca. In particolare, essi furono i primi a vedere che la crisi economica, fino ad allora considerata dai rivoluzionari come il precursore della rivoluzione, poteva essere un'arma manipolata dalla controrivoluzione. Per esempio, la borghesia tedesca seppe utilizzare le possibilità restanti di aggravare o ridurre l'ampiezza della crisi economica per separare differenti strati all'interno del proletariato, e in particolare per suscitare una divisione fondamentale tra i disoccupati e gli occupati. Fece schiacciare il movimento rivoluzionario dei disoccupati (che non potevano trovare soluzioni pratiche alla loro situazione se non in un esito rivoluzionario) dagli operai organizzati - talvolta nei sindacati, ma anche nei Consigli operai -, che avevano, loro, almeno un lavoro e un salario. In generale, la rivoluzione tedesca, al contrario di quella russa, è la sola a essere realmente istruttiva per la comprensione della rivoluzione moderna. Ormai se ne può conoscere la storia attraverso gli studi e i documenti che cominciano ad apparire. Ma l'essenziale è vedere quel che ne è restato, ed estrarre ciò che essa ancora significa d'importante per noi.
Uno degli aspetti più notevoli è che la rivoluzione tedesca fu fatta sulla parola d'ordine: "Usciamo dai sindacati!". Mentre nessuno si era autonomizzato rispetto ai sindacati e alla socialdemocrazia prima della guerra, le organizzazioni ultrasinistre raggrupparono centinaia di migliaia e persino milioni di lavoratori su posizioni rivoluzionarie. Le organizzazioni politiche quali il KAPD(1) furono in certi momenti strutture di massa più potenti del Partito Comunista legato all'Internazionale Comunista.
Da una parte, i sindacati si erano completamente integrati alla guerra, come d'altronde negli altri Paesi, a gradi diversi. Luddendorff doveva rendere loro omaggio dichiarando che giammai lo sforzo bellico sarebbe stato possibile senza la collaborazione dei sindacati e del Partito Socialdemocratico. Dall'altra, i comunisti di sinistra non raccomandavano di uscire dai sindacati per formarne altri. Questa parola d'ordine corrispondeva a un rifiuto totale delle forme sindacali di organizzazione, e si accompagnava alla creazione pratica da parte del proletariato di organismi assai differenti: le "Unioni" controllate alla base. Una delle acquisizioni di questo periodo è del resto il rigetto della separazione tra organizzazioni politiche ed economiche (partito/sindacato). All'inizio esistevano parallelamente il KAPD e l'AAU(2), che raggruppava le Unioni operaie nelle imprese. Ben presto, questa dualità fu respinta a favore di una forma di organizzazione cosiddetta "unitaria", ove non c'era più alcuna distinzione tra l'organo-partito politico e l'organo-lotta economica. La nascita di questo tipo di organizzazione (che si coordinava nell'AAU-E)(3) non era il frutto della volontà o della propaganda. Quando il proletariato è di fronte a compiti rivoluzionari, questa separazione cade da sé. Il solo fatto che ci si possa porre il problema di una differenza tra organo politico (che difende la prospettiva a lungo termine e che lotta per il potere), e organo economico (che lotta per degli obiettivi limitati), prova che la tappa in cui è allora il proletariato non è rivoluzionaria. Del resto, la rivoluzione comunista include per definizione la distruzione dell'economia e della politica, e dunque dell'economico e del politico, come domini specializzati e separati.
I gruppi come il KAPD fecero fin dall'inizio un'analisi profondamente giusta della Russia e del ciclo della rivoluzione mondiale. Bisogna dire che furono ugualmente i soli a sostenere militarmente ed efficacemente, con insurrezioni, attacchi a convogli militari eccetera, la rivoluzione russa, malgrado la loro severa critica dell'orientamento dei bolscevichi e dell'Internazionale Comunista. L'evoluzione di questi gruppi illustra tutto il problema delle organizzazioni rivoluzionarie. Queste organizzazioni scomparvero rapidissimamente, man mano che la rivoluzione veniva vinta e che il proletariato rifluiva verso posizioni disperate o difensive (puramente riformiste: integrazione alla società capitalista). L'arrivo di nuovi problemi le fece scoppiare su quasi tutti i punti con le reazioni abituali: terrorismo generato dalla disperazione, attivismo... Non dimentichiamo che la rivoluzione tedesca fu schiacciata dalla socialdemocrazia: l'intera storia tedesca tra le due guerre, compresa la nascita del fascismo, non si comprende se non in relazione a questo annientamento. Tutta l'evoluzione del fascismo non ha senso se non la si lega alla rivoluzione tedesca, giacché esso fu in gran parte l'esecutore testamentario della rivoluzione tedesca. I rivoluzionari e le frazioni più radicali della classe operaia (in particolare i disoccupati) erano stati battuti, ma la Repubblica di Weimar (1919-1933), inizialmente creata e animata dalla socialdemocrazia e dai sindacati, nondimeno era stata incapace di mettere ordine nell'economia e di soddisfare le rivendicazioni dei disoccupati, unificando il capitale nazionale tedesco: solo il fascismo poté ridare lavoro a tutti, ricuperare l'aspirazione alla "comunità" apportandovi una soluzione (alla sua maniera), e disciplinare tutti i gruppi sociali dietro gli interessi del capitale nazionale veramente unificato. Il fascismo soddisfò in modo mistificato le rivendicazioni (materiali e ideologiche) della rivoluzione del 1919, che la socialdemocrazia aveva schiacciato, ma le cui aspirazioni non poteva soddisfare durevolmente, essendo incapace di unificare politicamente la Germania. Di fronte a questa situazione, dall'inizio degli anni Venti, i rivoluzionari furono a poco a poco ridotti allo stato di setta, e solo quelli che accettarono la prospettiva di una controrivoluzione molto lunga furono in grado di resistere teoricamente alla controrivoluzione. E' d'altronde esatto che vecchi membri - assai poco numerosi - del KAPD divennero fascisti, non foss'altro che per odio della socialdemocrazia.
Nella rivoluzione tedesca, le minoranze radicali colsero il problema rivoluzionario, ma l'insieme della classe rimase prigioniera di un atteggiamento rivendicativo. La Sinistra tedesca è al fondo l'espressione teorica di quel che dei rivoluzionari - sovente operai senza formazione teorica pregressa agli eventi - avevano vissuto. Questa espressione deriva al contempo da tutta l'esperienza, e dalla sconfitta, della rivoluzione più significativa dell'epoca moderna, e dai limiti della situazione tedesca. Si vede questa doppia eredità nei gruppi che rimasero, generalmente attorno a uno o due emigrati. I soli ad aver avuto un'espressione importante sono la Sinistra comunista olandese (GIK-H)(4) e Paul Mattick, intorno a diverse riviste statunitensi ("International Council Correspondence", "Living Marxism", "New Essays"). Bisogna distinguere tra i testi contemporanei alla rivoluzione e quelli posteriori. I primi sono assai ricchi, a causa dell'esperienza concreta di cui sono il prodotto. Molto spesso quegli stessi che giungevano a queste "scoperte" teoriche uscite dalla lotta non vi erano preparati. Per esempio, la critica della rivoluzione russa fu fatta a seguito di una quantità di esperienze concrete, di rapporti con delegati dell'Internazionale Comunista, di misure pratiche prese dalla Russia e dall'Internazionale eccetera. Numericamente molto deboli, i gruppi sopravvissuti non hanno avuto, per cosi dire, alcuna influenza su di una lotta importante; malgrado contatti periodici con degli operai, sono restati per l'essenziale in un profondo isolamento. Ma, cosi come la "Sinistra italiana", grazie a una rete di relazioni poco numerose ma complesse ed estese, hanno potuto giocare un ruolo teorico assolutamente fondamentale. Nei gruppi e nelle tendenze (ivi compresi autonomi) che sono potuti esistere (per esempio Socialisme ou Barbarie in Francia), si ritrova generalmente la traccia di uno o due membri della Sinistra tedesca. Vi è una continuità tra questa, la Sinistra italiana, e l'insieme delle "Sinistre".
Se le qualità della Sinistra tedesca appaiono alla lettura dei suoi testi, non è inutile insistere sui suoi difetti. Il principale problema al quale tutti i rivoluzionari furono posti di fronte dopo la nascita del fascismo era il crollo della prospettiva classica. La totalità delle organizzazioni create dal proletariato e alle quali esso partecipava attivamente passarono alla controrivoluzione. Lungi dall'esserne la sola forza, esse ne costituivano la chiave di volta politica. La socialdemocrazia tedesca non era evidentemente la sola forza contro la rivoluzione: la lotta contro il proletariato era assicurata in primo luogo dall'esercito, dal corpo degli ufficiali che dirigevano i Corpi franchi, e, soprattutto, dal capitale. Ma la socialdemocrazia e le organizzazioni create dal proletariato nel periodo precedente furono la forza politica che riuscì a organizzare gli elementi controrivoluzionari contro il proletariato radicale. D'altra parte, il fascismo italiano e il nazismo rappresentavano per il pensiero rivoluzionario classico uno sconvolgimento fantastico. Si vedeva un'organizzazione chiaramente controrivoluzionaria dotarsi di una base di massa, e quel che oggigiorno parrebbe una grande banalità era assolutamente conturbante per i rivoluzionari di allora. La rivoluzione russa, poi lo stalinismo, erano anch'essi una novità fantastica, e lo sono ancora, in un senso. Siccome a poco a poco il proletariato veniva distrutto come forza che, in quanto classe, era portatrice di un progetto differente da tutti gli altri, i gruppi si ritrovavano completamente isolati. L'importante è osservare che i soli a conservare certe verità teoriche furono quelli che non ricercarono un successo immediato nella classe operaia. Al contrario, i trotzkisti, che vedevano senza posa i segni precursori della rivoluzione, e volevano conservare un controllo su delle frazioni di classe e restare nel gioco politico, furono di fatto condotti ad abbandonare la quasi totalità delle posizioni rivoluzionarie.
Di fronte al crollo di ogni prospettiva rivoluzionaria, la Sinistra fu costretta a spiegare questa sconfitta, e a interrogarsi sulle soluzioni possibili. L'elaborazione della teoria rivoluzionaria si trovò separata dal movimento reale della classe, non solamente perché quest'ultima non faceva nulla (di sovversivo), ma perché non fondava più la propria prospettiva su di una riapparizione del proletariato come forza rivoluzionaria legata alla crisi del capitale, ma cercava delle "soluzioni". Una delle forme attraverso le quali i rivoluzionari riuscirono a conservare la "fede" nella rivoluzione, se così si può dire, è stata una metafisica del proletariato. Questo è vero per ogni periodo controrivoluzionario: è talmente difficile salvaguardare un minimo di prospettiva comunista in un tale periodo, che ci si fabbrica dei surrogati, dei mezzi per resistere, per "tenere". Il problema sta nel grado di deformazione che questo atteggiamento - comprensibile - introduce nella teoria rivoluzionaria. La Sinistra tedesca fu condotta a sviluppare l'idea di un proletariato "puro" contenente in sé e per sé la verità rivoluzionaria, e a spiegare la sconfitta della rivoluzione con le falsificazioni, le pressioni e la violenza esercitate sul proletariato per sviarlo dai suoi compiti. Si ricercava da una parte la democrazia proletaria lottando contro la burocrazia come se si trattasse di un male pernicioso che impediva al proletariato di esprimersi. Si conservava sempre l'idea che, al fondo, il proletariato autentico sarebbe rivoluzionario se non fosse manipolato e falsificato. La preoccupazione per la democrazia proletaria conduceva a inventare ricette che permettessero all'autenticità rivoluzionaria del proletariato di manifestarsi. In questa concezione, il Consiglio operaio gioca un ruolo di panacea universale. Non lo si concepisce più come una forma di organizzazione di una lotta, bensì come una forma buona in sé, che permette alla realtà del proletariato di esprimersi. I rivoluzionari debbono dunque dare la caccia ai burocrati e ai deformatori: si poteva vedere questa concezione applicata, per esempio, in Socialisme ou Barbarie, più nel suo funzionamento interno che nei suoi testi. Poiché in Russia si era assistito alla ricostituzione di un potere di classe, si ricercava una visione del socialismo che impedisse questa deformazione. D'altra parte, siccome il potere della classe dominante era evidentemente legato alla gestione del capitale e delle forze produttive in generale, se ne derivava la credenza che si sarebbe potuto evitare questa degenerazione se il proletariato avesse preso lui stesso in mano la gestione dell'economia. E' difficile fare la critica di questa teoria, perché attraverso di essa, la Sinistra tedesca e i gruppi che sono stati influenzati da essa (in particolare Socialisme ou Barbarie) hanno esposto un gran numero di verità importanti. Ma nella misura in cui queste posizioni erano elaborate in un periodo di controrivoluzione completa, certi punti essenziali facevano totalmente difetto. Il peggior difetto di questa evoluzione, che si nota molto nettamente nelle lettere indirizzate da Pannekoek a "Socialisme ou Barbarie", è l'idea che occorra prima di tutto evitare di violentare il proletariato: si arriva a temere che agendo, lottando per checchessia, i rivoluzionari acquisterebbero un potere sul proletariato e distruggerebbero la sua spontaneità supposta rivoluzionaria. Si giungerà al punto di interrogarsi per sapere se si possa indire uno sciopero senza un'assemblea generale preliminare in cui la maggioranza dei lavoratori si sia pronunciata per lo sciopero: è tuttavia evidente che nessuno sciopero serio è mai stato lanciato dopo simili discussioni.
Peraltro, l'insieme del problema della natura del comunismo, e dell'abolizione dell'economia mercantile, era stato trattato dalla Sinistra tedesca: uno dei suoi testi principali, scritto verso il 1930, verte proprio sui Principi fondamentali di produzione e di distribuzione comunista, ma il punto centrale non è più la questione del salariato e della merce, bensì la questione della gestione. Si costruisce uno schema teorico in cui una federazione di Consigli operai gestisce tutto, come se il comunismo fosse la generalizzazione di assemblee generali democratiche che discutono e decidono su tutto.
E' vero che il termine Consiglio operaio copre realtà diverse. In Russia, nel 1905, il Soviet di Pietroburgo era un organismo locale eletto da delegati di quartiere cui partecipavano d'altronde soprattutto operai, semplicemente perché essi erano all'origine del movimento. Si videro riapparire i Soviet nella rivoluzione del 1917, in cui servivano da organizzazioni di lotta, e si formavano su di una base locale. Questi Soviet divennero un doppio potere; siccome i bolscevichi erano i soli a proporre delle prospettive, presero il potere nei Soviet, indi nella società tutta. Parallelamente a queste organizzazioni locali, si ebbero - soprattutto nel 1917 - dei "Comitati di fabbrica", coordinati tra loro a partire da un'organizzazione nelle fabbriche (occorre tuttavia ricordare che un periodo rivoluzionario non conosce legittimità in senso tradizionale, e non sa perfettamente chi è chi né chi fa cosa: dunque una decisione presa da questo organismo era applicata anche da altri organi, che ne facevano peraltro parte, senza formalismo: bisogna essere dei giuristi per domandarsi quali siano esattamente le regole formali di funzionamento di una rivoluzione). Esisteva una differenza reale tra questi Comitati, necessariamente più proletari e assai più interessati sia alle questioni economiche sia a quelle riguardanti le condizioni di lavoro, e i Soviet locali. Dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, i Soviet locali divennero organi di trasmissione del potere bolscevico, mentre i Comitati di fabbrica continuarono a esistere e restarono un polo di opposizione, di lotta, o talora di accordo, in rapporto al potere di Stato. Durarono per diversi anni e del resto giocarono un ruolo determinante nello sciopero di Pietrogrado che precedette l'insurrezione di Kronstadt. In Russia le organizzazioni di fabbrica continuarono a sussistere fino al 1930. Si svolse anche un grande conflitto nel 1927-'28 contro la reintroduzione della gerarchia dei salari operai. Dai primi anni della rivoluzione, erano stati imposti il "comando di uno solo" e il potere dei manager, ma lo Stato aveva dovuto sempre recedere sulla gerarchia salariale per gli operai: le organizzazioni di fabbrica ebbero ancora la forza di battersi vigorosamente contro la sua introduzione nel 1927-'28. Ma la natura propria della rivoluzione russa, i compiti specifici che doveva affrontare, con un proletariato industriale molto minoritario (meno del 10% della popolazione) fecero sì che il meccanismo politico poggiasse per l'essenziale sui Soviet locali. Al contrario, nella rivoluzione tedesca, la struttura sociale del Paese (e non la volontà, la coscienza degli operai, o la propaganda di una qualsiasi corrente) fece sì che, se il movimento era stato scatenato inizialmente dai Consigli di soldati - per delle ragioni storiche precise, e prima di tutto per l'incapacità della Germania a vincere la guerra -, tutta l'organizzazione si costruì in seguito attorno ai Consigli di fabbrica, dando al movimento un carattere assai più proletario. La caratteristica essenziale di quel che i rivoluzionari intendono quando parlano di Consigli operai è questa: sono organi non rappresentativi, che cioè non mirano a rappresentare il proletariato all'interno di un potere o altrove, ma che realizzano i suoi compiti. E' l'autorganizzazione della classe costretta ad agire. La sua stessa composizione la pone al centro di tutti i problemi produttivi, lavorativi, salariali eccetera. E poiché la classe è condotta a organizzarsi in modo autonomo, ciò implica per definizione l'esistenza di una crisi politica in cui i consigli costituiscono dunque un doppio potere (cioè oltre allo Stato). In senso rivoluzionario, il Consiglio operaio è dunque un organo di doppio potere nel quale la totalità degli aspetti della vita e della società sono considerati in modo unitario. Interviene su tutto senza curarsi delle delimitazioni tra dominì e sfere giuridici, politici, economici eccetera. Non è un organo rappresentativo, sia per il suo modo di funzionamento sia per la sua composizione.
In generale, le forme organizzative sono interamente determinate dalla situazione concreta e dalla struttura della classe. Per esempio, nel Maggio '68, in Francia, non vi è stata traccia di Consigli operai; e la forma di organizzazione presa dal movimento non è stata assolutamente il prodotto di alcuna propaganda, è stata il risultato dei fatti: esistevano in parecchie fabbriche piccole minoranze che volevano lottare, la cui determinazione e il cui relativo isolamento di fronte alla maggioranza dei lavoratori controllati dai sindacati le hanno condotte a raggrupparsi sotto forma di "Comitati di azione". Questa struttura organizzativa rispondeva alla realtà del momento. Certuni han fatto propaganda per i Consigli operai: è il tipo di propaganda perfettamente astratta e ideologica. Se per sventura vi fosse stata una struttura formalmente corrispondente ai Consigli operai, si sarebbe vista una schiacciante maggioranza controllata dalla CGT paralizzare totalmente la minoranza che, al contrario, agiva. E' vero che i rivoluzionari tentano sempre di estendere il movimento, lottando per la formazione dei Consigli. Ma ci si deve ben rendere
conto che il Consiglio è la forma di un movimento: volerne fare un'entità astratta o una panacea può condurre a porsi all'esterno del movimento invece che svilupparlo.
Bisogna anche distinguere tra il Consiglio operaio in senso rivoluzionario e certe formule propagandistiche che gli somigliano o ne sono una caricatura, come la parola d'ordine trotzkista del "controllo operaio". Senza soffermarci qui sui dettagli di questa parola d'ordine nella storia del trotzkismo, si può ricordare che Lenin non desiderava - e ciò si può comprendere - la partenza e l'espropriazione di massa dei borghesi. I bolscevichi volevano la continuazione (provvisoria) di uno sviluppo capitalista, sotto il controllo di un potere politico realizzato dalle organizzazioni di fabbrica e rinnovato da esse. Non si tratta qui della giustificatezza o meno di questa posizione per la Russia del 1917-'18, che era effettivamente un Paese arretrato. Ma in ogni caso per i bolscevichi questa idea era legata alla necessità assoluta di uno sviluppo capitalista della Russia. Nel mentre attendevano la rivoluzione europea, e l'aiutavano materialmente (con la propaganda, le armi eccetera), essi progettavano una sorta di capitalismo controllato dal potere statale rivoluzionario, basato sui comitati di fabbrica: soluzione molto provvisoria, certamente. Questo equilibrio non poteva che essere di breve durata e divenire o un capitalismo puro e semplice o una comunizzazione in collegamento con il resto del mondo: si sa cosa ne è stato. Per contro, l'idea del controllo operaio esposta attualmente dai trotzkisti è totalmente e fondamentalmente controrivoluzionaria. Da un lato, è la tesi di una fase di transizione tra un capitalismo ipersviluppato e il comunismo, allorché non vi è nessun bisogno di un periodo né "capitalista" né "comunista", ma soltanto di una trasformazione comunista dei rapporti sociali (che certamente non si realizza in un giorno: ma fin dall'inizio si prendono delle misure comuniste irreversibili). Da un altro lato, il controllo operaio si presenta concretamente come l'azione di comitati di fabbrica in ogni impresa, che spulciano i bilanci, controllano il padrone, sorvegliano contemporaneamente la produzione e le attività commerciali dell'azienda: è dunque l'idea che questo controllo costituisca per i lavoratori una prima esperienza e una scuola di gestione, ove imparino ad amministrare. Questa tesi è completamente controrivoluzionaria, perché il controllo operaio non può insegnare ai lavoratori altro che a gestire il capitale. E del resto esattamente quel che fanno in simili casi. Le scuole sindacali non servono che a formare amministratori del capitale a partire dalla classe operaia (cfr. l'attuale "cogestione" tedesca). Si presuppone una sorta di economia eterna, le cui leggi sarebbero pressappoco identiche sotto il capitalismo e sotto il comunismo: i lavoratori avrebbero dunque da apprendere le regole dell'amministrazione e dell'economia. Da sola, questa rivendicazione significa l'abbandono assoluto della comprensione del comunismo. In diversi Paesi (Francia, Italia, Gran Bretagna eccetera), lo slogan del "controllo operaio" conosce oggi una nuova stagione negli ambienti sinistrorsi e anche in certe tendenze dei partiti socialisti: si mescolano autogestione, gestione operaia e controllo operaio in una confusione totale e senza alcun collegamento con la teoria rivoluzionaria né col comunismo. Queste correnti sono, per contro, direttamente legate allo sforzo del capitale per rinnovarsi, come mostra il caso LIP in Francia (1973): si vede un militante cristiano, che rappresenta gli operai, accordarsi con un padrone membro del PSU.
Si potrebbe quasi dire che attualmente a livello mondiale una gran parte della produzione sia già autogestita dalla classe operaia. A effettuare i loro compiti (prendere un pezzo, metterlo su di una macchina eccetera) sono gli operai. La stretta applicazione delle norme e l'interdizione dell'iniziativa dei lavoratori disorganizzerebbero alquanto la produzione. E' evidente che, in una società comunista, il processo materiale della produzione è realizzato da coloro che lavorano, dai produttori, il che implica uno sconvolgimento gigantesco. Se i lavoratori non sono sottomessi a un'autorità esterna che concepisce per loro quel che fabbricano; se i produttori organizzano essi stessi il processo produttivo concreto (quel che Marx chiama "lavoro concreto"), questo solo fatto implica una trasformazione colossale (orari, organizzazione del lavoro, distruzione delle catene di montaggio e di tutti i meccanismi che mirano a controllare il lavoro per accrescerne la produttività). Ma il problema reale non sta li. Non si tratta per i proletari di rivendicare l'"ideazione" della produzione di cui assicurano oggi solo la "fabbricazione". La vera questione è quella del quadro nel quale si svolgono sia l'"ideazione" sia la fabbricazione: la finalità della produzione, la quantità effettiva dei beni prodotti, la loro natura... Determinante non è il processo materiale della produzione, che non pone particolari problemi: come si è visto in caso di guerra, di catastrofe, di grave crisi, persino di rivoluzione, i lavoratori prendono in mano l'apparato produttivo e lo fanno funzionare. Il vero problema è al livello dell'economia: è l'economia in quanto tale, e presa come un tutto, che si tratta di distruggere. Nella società capitalista, è la logica della merce a imporsi e a dominare tutto: cosa sarà prodotto, come eccetera. La totalità dell'economia è determinata dalle condizioni di produzione, che appartengono al capitale. La corrente autogestionaria, nata recentemente come reazione al movimento rivoluzionario, fornisce delle risposte al capitale via via che si presentano delle difficoltà. Nel migliore dei casi, la sua soluzione sarebbe sinonimo di autogestione del capitale. L'esempio della LIP è clamoroso: i compiti precedentemente del padrone divengono quelli degli operai. Oltre al processo materiale, gli operai s'incaricano dell'amministrazione. Fanno il lavoro dei padroni oltre al loro. Ma il problema sta nell'esistenza dell'economia e della merce, da distruggere. Tutti i problemi che la gestione può porre sono completamente differenti nella società non mercantile. E per questo che il controllo operaio è un'assurdità: non insegna e non può insegnare se non la gestione capitalista, quali che siano le intenzioni degli operai che l'esercitano. Gli operai non possono apprendere niente su quel che sarebbe la gestione di una società comunista controllando un padrone capitalista: verificando le somme versate alle assicurazioni, alla previdenza sociale, ai fornitori eccetera s'iniziano solo alla gestione di un'azienda, cioè di una somma di valori mercantili in relazione con altri. Il comunismo ha esattamente per obiettivo, e anche come compito immediato, la distruzione di questi meccanismi.
L'autogestione è la forma suprema del capitalismo. Si assiste attualmente alla distruzione della borghesia tradizionale da parte del capitale. Salvo che in Paesi come la Russia, è lo stesso sviluppo del capitale a liquidarla. Se non si colpiscono le basi dell'economia capitalista, si ha un'economia organizzata in imprese: unità che riuniscono ciascuna una certa quantità di capitale fisso e di forza-lavoro. Quest'ultima è organizzata in una maniera specifica, dovuta alla necessità di estrarre plusvalore. Si presuppone così la separazione tra lavoratori manuali, intellettuali, ingegneri, amministratori eccetera. L'autogestione li riunisce senza eliminare le separazioni che li dividono e li oppongono. Se questa stratificazione non è distrutta preventivamente, riappare necessariamente, che la produzione sia autogestita o no. Ciascuno si batte secondo la propria specificità, si organizza all'interno della propria categoria come in un racket per proteggere i propri
interessi. Può essere che, in una prima fase, i lavoratori manuali prevalgano, ma se vi è in seguito penuria di quadri perché le scuole non ne formano abbastanza, occorrerà aumentare i salari dei quadri per ottenerne. Si autogestisce dunque il capitale. L'autogestione equivale a conservare le categorie del capitale e a controllarle dall'interno (democrazia d'impresa), invece che dall'esterno (potere dittatoriale della direzione). Marx ha dimostrato da lungo tempo che la borghesia, il capitalismo, lo scambio non sono prodotti della malignità umana o della volontà di una minoranza che cerca di fare la bella vita a spese degli altri, ma il risultato di rapporti di produzione reali, essi stessi frutto di una situazione obiettiva. La merce ha costituito un progresso, e la proprietà privata è stata il modo di sviluppo dell'umanità nel corso di vari millenni. Le società che non le hanno conosciute sono spesso restate in una miseria aggravata dal divario e dal disequilibrio nei confronti del mondo scambista e capitalista. La funzione del capitalista e dell'amministratore non sono né un'aberrazione né il prodotto del male: non si possono togliere conservando il resto. Se non se ne distruggono le basi, essi hanno una funzione reale, che bisogna adempiere in un modo o in un altro. L'autogestione fa semplicemente svolgere dalla collettività delle funzioni prima garantite da uno strato separato. L'autogestione rappresenta il culmine del sogno, o dell'incubo, capitalista. E' il trionfo del capitale.
Allorquando il capitale ebbe riunito in uno stesso luogo degli operai che fino ad allora tessevano a domicilio, dando loro gli stessi telai che prima utilizzavano in casa, indi ebbe scoperto che si poteva aumentare la loro produttività scomponendo i loro gesti, e che potevano tanto meno battersi contro i padroni quanto meno erano qualificati, venne fabbricata una macchina che includeva nella sua stessa struttura la produzione di valore mercantile e la riduzione degli uomini a strumenti di questa valorizzazione. Il capitale non esiste nella testa della gente, è presente nella struttura delle abitazioni, degli appartamenti eccetera. Tutte le strutture sociali sono inscritte nella materia. Il fatto che noi viviamo in famiglie più o meno ristrette è inscritto nei caseggiati. Il capitale è presente nella struttura stessa della macchina. L'autogestione significherebbe che si è riusciti a creare una macchina che include nella sua stessa struttura lo sfruttamento, la disumanizzazione e la separazione di coloro che lavorano, e a persuaderli che non vi sarebbe altra soluzione: vi si è riusciti così bene che ora si può dire loro: "Adesso autogestitevi!". Ciò presuppone che, quando si dà ai lavoratori questa libertà illusoria, essi non abbiano alcun desiderio di rompere la macchina o di mettersi a lavorare diversamente. L'autogestione generalizzata significherebbe dunque un'accettazione generalizzata del capitalismo. Implica il fatto che la totalità dei valori del capitale si sia così ben materializzata dappertutto da poter lasciare la gente autogestire la società.
L'interesse della Sinistra italiana sta per l'appunto nell'aver largamente chiarito tale questione. Per un verso, essa è il contrario della Sinistra tedesca. E' un movimento teorico che preesisteva in parte al movimento rivoluzionario, che disponeva di un corpo dottrinario solido e relativamente stabile. E' d'altronde in ciò che i loro rapporti sono interessanti, soprattutto quando pervengono alle stesse conclusioni. La Sinistra italiana ha affermato e colto dei punti essenziali che quella tedesca non ha compreso. Ma, cosi come la Sinistra tedesca non ha potuto preservare la sua comprensione se non mantenendo una sorta di metafisica del proletariato, la Sinistra italiana l'ha conservata mischiandovi una metafisica del partito e della teoria. Si ha talvolta l'impressione che la teoria esista del tutto indipendentemente dal movimento pratico della classe. Ci si può domandare se il principale apporto della Sinistra italiana non sia di aver conservato certi punti essenziali della concezione di Marx, e innanzitutto la comprensione completamente giusta del Capitale, a cominciare dal Libro I: definizione del capitale e definizione del comunismo. Essa ha mantenuto la visione del comunismo come abolizione della merce e del salariato, mentre la Sinistra tedesca rimane poco chiara al riguardo.
In fin dei conti, il problema che ci si pone oggi, di fronte all'esperienza della rivoluzione tedesca e alle diverse correnti di sinistra che hanno resistito alla degenerazione della Terza Internazionale, è la questione del rapporto tra il comunismo e il proletariato. Quegli eventi dimostrano in effetti che esiste incontestabilmente all'interno del proletariato una tendenza comunista: non una tendenza ideologica, ma un movimento pratico verso il comunismo. La realtà della sua situazione lo conduce a sviluppare una pratica e delle prospettive comuniste. Ne è la prova il fatto che esso alimenta delle organizzazioni rivoluzionarie più o meno importanti, che quasi scompaiono in periodo di controrivoluzione ma che riappaiono poi. Ne è la prova il fatto stesso della pratica del proletariato in periodo rivoluzionario. Ciò vale sia per la rivoluzione russa sia per quella tedesca: non dimentichiamo in effetti la straordinaria ricchezza della rivoluzione russa, malgrado i suoi limiti. Tuttavia, il meno che si possa dire del rapporto tra proletariato e comunismo è che è complesso. Non c'è un collegamento univoco (in un solo senso) tra sviluppo capitalista, crisi, e attacco del proletariato contro il capitale. Il proletariato è stato preso e si è lasciato prendere dal capitale, per esempio nella rivoluzione tedesca: a livello dell'insieme della classe, i proletari volevano la pace, desideravano vivere decentemente, ma non volevano il comunismo. Essi d'altronde non lo percepivano nemmeno: solo una debole minoranza ne era capace. Il proletariato non esiste allo stato di entità osservabile e descrivibile come la maggior parte dei fatti sociali. Il proletariato è un rapporto con il capitale. E' il rapporto più importante nel seno stesso del capitale, il più importante rapporto interno al capitale. Il proletariato è un rapporto del capitale con se stesso. Esiste dunque necessariamente un legame tra la costituzione del proletariato in classe, cioè in categoria che si oppone alla società con obiettivi suoi propri, e la sua esistenza all'interno del capitale.
Per abbordare questo problema, è vitale assimilare bene e criticare contemporaneamente l'apporto delle Sinistre tedesca e italiana. Per esempio, sulla questione del comunismo, i punti di vista di Bordiga e di Socialisme ou Barbarie sono diametralmente opposti. Prendiamo come esempio Le Contenu du socialisme di Chaulieu, peraltro strettamente legato alla sua concezione del capitalismo e alle sue teorie economiche. In questo testo, Chaulieu è per il mantenimento del salariato. Con l'aiuto soprattutto di sociologi industriali, egli giunge a una visione assai profonda della realtà capitalista e della società moderna. Ha perduto totalmente di vista la dinamica del capitale, e la sua visione è quella di un sociologo e non di un marxista: ma all'interno stesso di questa visione sociologica, va molto lontano. Propone il capitalismo, ma senza i suoi lati cattivi. Non concepisce assolutamente una società senza salario e senza economia. Si pronuncia dunque per il salariato con eguaglianza di salari. E' il sogno del capitale realizzato. Il problema viene dal fatto che il capitale dovette svilupparsi a partire da una società non capitalista. Ma dal momento in cui esso domina assolutamente tutto, dalla nascita alla morte, il problema cambia. Nel capitalismo d'inizio secolo, la formazione del lavoratore qualificato veniva acquisita in modo relativamente individuale: era dunque normale che la si pagasse in seguito con un salario superiore a quello dell'operaio non qualificato. Ma se il capitale domina anche le condizioni di formazione della forza-lavoro, perché dovrebbe pagare un salario differente? Gli basta mantenere il lavoro. Le forze-lavoro riprodotte in modo differente dovevano essere remunerate diversamente. Se il capitale organizza l'istruzione dei bambini e la formazione delle differenti forze-lavoro, non ha che da mantenere tutti allo stesso prezzo. L'eguaglianza dei salari è inclusa nella logica del capitale: solo il sotto-sviluppo del capitale vi si oppone.
Siccome il capitalismo è incontrollabile, le soluzioni di tipo autogestionario, come tante altre, vogliono un capitalismo pianificato. Chaulieu inventa uno schema di "fabbrica del piano" autogestita, che poggia su di una visione assolutamente totalitaria. Immagina che si voterà per determinare gli investimenti, i salari, la parte riservata ai consumi eccetera, con l'aiuto di modelli matematici resi accessibili a tutti (tra cui le matrici di Leontieff). Tutti i problemi che riguardano oggi unicamente la classe dominante, domineranno dunque la totalità della società, nella prospettiva di una democrazia generalizzata. Le difficoltà del capitale saranno le difficoltà di tutti, e non più di una minoranza di gestori.
Se l'insieme dei costi di formazione della forza-lavoro sono coperti dalla società, Chaulieu giunge alla conclusione che in queste condizioni la differenza di formazione tra un operaio specializzato e un neurochirurgo comporterà solo una differenza salariale di uno a due. Egli suppone dunque che l'attività umana abbia un prezzo, e che si paragoni il valore rispettivo delle differenti forme di lavoro, remunerando le forze-lavoro. La forza-lavoro è dunque ancora una merce. E' esattamente il contrario della prospettiva di Marx. E' vero che l'elaborazione di questa teoria negli anni Cinquanta costituiva un tentativo considerevole per uscire dall'immobilismo. Prodotto originale della Sinistra tedesca, Socialisme ou Barbarie ha saputo porre i problemi operai e dell'organizzazione del lavoro ben prima che diventassero di moda. Ma li ha posti ignorando l'analisi di Marx. Qui, ancora, si vede che rivoluzione e controrivoluzione sono vicine: rispondono alle stesse questioni in modi opposti. Capitale e proletariato si sforzano entrambi di risolvere le contraddizioni del salariato. Ma, oggi, la tesi della gestione operaia fa solo il gioco del capitale. E ripresa sotto mille varianti da coloro che hanno bisogno di modernizzare la loro ideologia per partecipare alla direzione politica del capitale. Poiché la crisi della società è visibile a occhio nudo, tutti coloro che ricercano un potere qualunque sono e saranno obbligati a riprendere, in un modo o in un altro, le posizioni autogestionarie.

Note
(*) Il presente testo è la trascrizione di una relazione (registrata col magnetofono), fatta nel corso di una discussione organizzata tra un compagno francese e alcuni compagni messicani, cileni e colombiani, nel 1974, poi pubblicata nella "Petite bibliothèque bleue”, Editions de l'oubli, Paris, 1974. L'autore "ufficiale" è Nashua, pseudonimo di certo Pierre Guillaume. Questi, come Mussolini, fu per qualche tempo un rivoluzionario. Alla fine degli anni '70 divenne portavoce – insieme a Faurisson e Thion - della corrente negazionista, mediocre ancella ideologica della corrente della destra "revisionista" e fascista. Oggi, questo personaggio è un partigiano dell'ultradestra antisemitica. Durante questi ultimi anni, Guillaume è stato compagno di "pensiero" del fascista Maurice Bardèche, fondatore della rivista "Occident".
(1) Kommunistische Arbeiter Partei Deutschlands: Partito Operaio Comunista di Germania.
(2) Allgemeine Arbeiter Union: Unione Generale Operaia.
(3) Allgemeine Arbeiter Union-Einheitsorganisation: Unione Generale Operaia-Organizzazione
unitaria.
(4) Gruppe Internationaler Kommunisten-Holland: Gruppo dei Comunisti Internazionali-Olanda.

(Pierre Guillaume, Prospettive sui Consigli, la gestione operaia, e la Sinistra tedesca (1974), "Left Wing Communism", http://www.left-dis.nl/i/nashua.htm)

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